Fermentazione ibrida: caratteristiche e stili

Sebbene la manualistica di settore dia conto, in linea di massima, di tre grandi famiglie in cui poter ripartire la genealogia generale della birra (fermentazioni alte, basse e spontanee), troviamo opportuno inserire un ramo ulteriore: quello delle cosiddette fermentazioni ibride. Questa categoria è rappresentabile come una medaglia dalle due facce: una corrispondente a birre per le quali si impieghino lieviti ad alta fermentazione (della specie Saccharomyces Cerevisiae) fatti lavorare però a temperature assai prossime al limite minimo (circa 13 °C) del ventaglio termico considerato ottimale per il loro metabolismo; l’altra faccia occupata idealmente da tipologie che, al contrario, si avvalgono di lieviti a bassa (della specie Saccharomyces Pastorianus) ma condotti a temperature equivalenti al limite massimo (gli stessi 13 °C) del range ottimale per la loro attività riproduttiva.



Del primo gruppo fanno parte profili stilistici quali quelli delle Kölsch e delle Altbier tedesche; nel secondo troviamo specialità quali le California Common, le Cream Ale e le Blond Ale di ascendenza statunitense. Tratto comune a questo eterogeneo drappello è la messa in evidenza di un temperamento organolettico contrassegnato, su entrambi i fronti (anche se per ragioni opposte), da sottili espressioni fruttate dovute a una limitata formazione di esteri nel corso del processo fermentativo.