Stili da riscoprire: le birre storiche svedesi
Caratterizzatasi, dal Novecento in avanti, per una decisa influenza da parte dei movimenti a favore della temperanza e quindi ostili al consumo di alcol (nel 1992 si votò per un referendum a consuntivo del quale l’adozione di leggi proibizionistiche fu rifiutata per un nonnulla: 50,9% i contrari, 49.1% i favorevoli), la Svezia ha invece avuto, sul fronte birrario, un passato vivace, esprimendo nel corso dei secoli – al pari di quanto già rilevato in relazione all’Olanda – attitudini e tipologie peculiari. Eccone una breve carrellata.
Prima del XIX secolo – lungo un ampio arco temporale durante il quale (dal medioevo ai Seicento) la birra è stata bevanda nazionale, poi soppiantata da liquori e distillati (qui, forse, le radici della successiva reazione ispirata al rigorismo) – la norma, nella pratica del brassaggio, era rappresentata dall’alta fermentazione. All’interno di un ventaglio stilistico piuttosto ampio – in parte ispirato a ricette tedesche o britanniche, in parte di matrice locale – questo secondo ramo (detto delle Svensköl, birre svedesi, appunto) contemplava svariati prodotti a larga diffusione, tra i quali la Dubbelt Öl (Double beer, si confronti la similitudine con quelle circolanti in Inghilterra), la Enkelt Öl (Single Beer, si confronti in questo caso il riferimento anche alle Enkel monastiche) e la Svagöl (Weak beer). Tutte quante in tonalità da bruno a scuro, è possibile si trattasse di tre sorelle, figlie di uno stesso mashing e di successivi lavaggi delle trebbie, ciascuno dei quali dava luogo a mosti via via più leggeri. Tra i generi esterofili in questo periodo grande fortuna, anche in Svezia come in tutta l’area scandinava e soprattutto baltica, conoscono poi le Porter, presto declinate – dopo l’accoglimento del modello inglese – in bassa fermentazione.
E proprio la bassa fermentazione è il fatto nuovo dell’Ottocento. I viaggi studio in Germania di Fredrik Rosenquist of Åkershul (1805-72, capitano delle forze armate il quale, lasciata la divisa, decise di dedicarsi a orzi e luppoli) lo portarono a contatto con la realtà emergente delle Lager, che egli, per primo, introdusse nel proprio Paese, avviando a Stoccolma nel 1843 una produzione di stampo Münchener. Sulla scia del suo esempio, altri lo seguirono, dando vita a un filone dal quale germogliarono rapidamente alcune tipologie che a loro volta possono considerarsi peculiarmente svedesi: la Lageröl, simile a una Dunkel monacense (decisamente lieve la luppolatura), ma più chiara e mediamente un poco più alcolica (lo standard sui 5.5 gradi; la Bayerskt (best seller tra 1870 e 1920), sorta di crossover tra una Hell e una Vienna (ambrata chiara, dunque), assai poco luppolata, anch’essa più alcolica rispetto ai paradigmi delle due bavaresi (sul 5.8 la percentuale in volume), ma soprattutto più carbonata e servita direttamente dalla botticella, senza imbottigliamento; e infine la Pilsnerdricka, comparsa sul mercato nel 1880 come versione alternativa in bassa gradazione (sul 2.6-3%) delle Pilsner Öl, le quali inizialmente (erano state lanciate nel decennio precedente) avevano stentato nelle vendite, risultando troppo amaricanti e troppo forti, in virtù di una titolazione etilica che poteva raggiungere il 6,4%.