Chimica e naturale nella birra: che cosa si intende?
Questo articolo ce l’avevo in canna da un po’ di tempo e ve lo dico subito, sarò parecchio antipatico. Nasce dall’autentico e verace fastidio che mi da leggere su social, articoli, proclami pubblicitari come viene affrontato l’argomento del “prodotto naturale” e l’ambito birra non ne è esente. Il tentativo, talvolta implicito talvolta esplicito, è di associare al concetto di naturale quello di buono senza appello. Se è “naturale è salutare”, fa bene quindi, poi è fatto con passione e “rispetto della natura”, “non c’è chimica”. Sarò tranchant su questo argomento, trovo questo speculare attorno al concetto di “naturale come migliore” molto spesso pretestuoso e disonesto anche se sono più che convinto che ciò avvenga in molti casi per via di una relativa “ignoranza” sull’argomento, sia da parte del consumatore che del produttore. Si fa leva, inconsapevolmente o meno, sull’accezione positiva che l’opinione pubblica normalmente attribuisce al concetto di naturale. Ma naturale è anche il colera, il veleno di un serpente o un fungo velenoso!
Ma cosa è naturale? Naturale, per facile deduzione, è tutto ciò che deriva da una sostanza (vegetale, animale, minerale) presente in natura. Per contro, per esempio, un farmaco di nuova sintesi con una struttura chimica non presente in natura non sarà naturale. Fino a questo punto, il discorso in teoria non fa una piega. Il problema però nasce dalla percezione che le persone hanno delle cose. Qualche esempio? Uno a caso? L’alcol etilico che si produce dalla fermentazione alcolica di birra e vino a partire da zuccheri è una sostanza naturalissima ma tossica per l’organismo in dosi relativamente basse e potenzialmente cancerogena. Quanto basse dipende molto da peso dell’individuo, razza, sesso, concomitante assunzione di cibo, ma in media possiamo dire che il fegato di un individuo adulto è in grado di metabolizzare circa 10-12 grammi di alcol puro al giorno, quantità contenuta in una birra da 33cl, un calice di vino o un bicchierino di superalcolico. Oltre tale soglia l’alcol inizia ad essere tossico poiché non più metabolizzabile. Non sto a elencare la sterminata serie di effetti collaterali ma mi limiterà ad annotare il fatto che l’alcol è un fattore di rischio per una vasta gamma di tumori… eppure è naturale! Quante altre sostanze, la cui cancerogenicità è accertata, sono anche legali e commercializzate? A parte il fumo da tabacco, altra sostanza naturale, non mi viene in mente null’altro. Voglio essere chiaro, il mio intento non è fare terrorismo, piuttosto evidenziare il palese paradosso che si cela dietro l’argomento.
Nell’ambito birra, ma anche vino o tantissimi altri prodotti, sono frequenti gli slogan del tipo “prodotta con ingredienti naturali, senza utilizzo di additivi chimici e conservanti”. Le questione degli additivi chimici tanto osteggiati dalla opinione pubblica è altro argomento interessante collaterale al concetto di naturalità. Se Naturale è bene, chimico è male per molti. Ma prendiamo ad esempio un additivo tanto usato nella birrificazione: l’acido lattico. Utilizzato per correggere il pH del mosto o della birra finita l’acido lattico è naturalmente presente in tantissimi alimenti come lo yogurt, dove viene sintetizzato ad opera dei batteri lattici (lattobacilli) tanto cari agli amanti di birre acide. L’acido lattico usato nell’industria (tra cui anche quella birraria), è invece in gran parte prodotto per sintesi chimica. Trovate qui di seguito la formula dell’acido lattico prodotto dai lattobacilli di una birra o yogurt (a sinistra) e quello prodotto per sintesi chimica. Notate le differenze? Trovato nulla? No? Forse perché sono la stessa ed identica molecola e l’una non è più salutare dell’altra solo perché la trovate nello yogurt fatto in casa con il latte delle vacche di compare Ndonio!
A voler essere neanche troppo integralisti dire che non ci sono additivi nella birra quando si usa l’acido lattico (o altri acidi) non è corretto nei confronti del consumatore e rappresenta una formale bugia. Dire che non ci sono conservanti nella birra è altra bugia poiché gli acidi che si utilizzano per abbassare il pH del mosto/birra hanno anche funzione conservante dato che prolungano la “shelf life” del prodotto. L’alcol è un conservante, il luppolo è un conservante! Quindi occhio a ciò che si dice ignorando ciò che c’è dietro uno slogan.
Altra sostanza che spesso si utilizza nella birrificazione è il temutissimo acido L-ascorbico, impiegato da alcuni birrifici come antiossidante. Se vi dicessi che l’acido ascorbico non è altro che la vitamina C il vostro umore cambierebbe? Vi sentireste più rassicurati? Ebbene sì, è una vitamina! È nei limoni, i limoni fanno bene, non mi viene nemmeno l’influenza! Non c’è nulla di male ad utilizzarlo se impiegato correttamente e ritarda il deperimento delle caratteristiche organolettiche della birra, che significa che potrò godere di una birra al suo massimo della forma per più tempo.
Potrei andare avanti con tanti altri esempi ma non ce n’è bisogno, mi premeva far passare il concetto. In generale nella birra si impiegano tanti additivi, non tutti ne utilizzano tanti, ma si utilizzano. Questo è un problema? Ma certo che no! Per molte di queste sostanze vale quanto detto sopra ma in generale c’è da tenere sempre a mente che è “la dose che fa il veleno”. Ovvero, ogni sostanza, naturale o di sintesi che sia, ha una dose di impiego massima oltre la quale possono sopraggiungere effetti potenzialmente nocivi per la salute.
La legislazione in materia di etichettatura della birra non impone ai produttori di riportare in etichetta eventuali additivi impiegati altrimenti potete stare sicuri che per alcuni birrifici vedreste una lista ingredienti ben più lunga dei più canonici acqua, malto, luppolo, lievito. Da consumatore, per semplice trasparenza, vorrei vedere una etichetta più chiara ma sono più che convinto che tanti inizierebbero a percepire, erroneamente, il prodotto “birra artigianale” come meno artigianale.
Ricordo che in una delle bozze di proposta di legge sulla birra artigianale veniva menzionato, in uno degli articoli, come criterio di artigianalità della birra il non impiego di additivi. Per fortuna quell’articolo non venne incluso altrimenti oggi nessuna birra in Italia sarebbe potuta essere definita artigianale. Questo per far capire che anche molti addetti ai lavori, addirittura il legislatore, non sono sempre in grado di valutare alcuni ambiti con adeguata oggettività e scientificità rimanendo influenzati da pregiudizi di pancia o semplicemente da ignoranza.
In ogni modo gli ostracismi li faccio anche io. Pur essendo un sostenitore della chimica consapevole e informata nell’alimentazione, ci sono cose che non mi piacciono. Ad esempio il ricorso ad alcuni aromatizzanti nella birrificazione. Esistono sostanze, di sintesi o estratte da elementi naturali, che riproducono spesso in maniera pacchiana un aroma/sapore di un frutto. Queste sostanze però conferiscono una aromatizzazione finta, dozzinale che si avvicina solamente al vero aroma di un dato frutto. L’aroma di una banana per esempio è dato da almeno 200 componenti aromatiche diverse anche se l’ossatura aromatica è conferita da circa 50 molecole diverse. Invece l’isoamil acetato, quindi una sola molecola, ha sempre un forte odore di banana… ma non ha di certo la complessità dell’aroma del frutto vero. E sono contro non perché “è chimica” ma perché semplicemente impoverisce il prodotto, da un punto di vista organolettico. E tutto ciò che diminuisce la qualità di un prodotto per me non deve essere moralmente ed eticamente impiegato.
In sostanza tutto è chimica, la natura è fatta di molecole chimiche e non perché sono naturali ci danno garanzia di bontà, superiorità e salubrità. Sta al consumatore alfabetizzarsi per non lasciarsi sopraffare da pregiudizi e sta al produttore adottare una filosofia comunicativa, etica e di marketing coerente e soprattutto trasparente. Ancora una volta, la chiave di tutto è la conoscenza.