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Come sono cambiati i beer geek nel tempo?

Lo spaccato di una scena brassicola che ha raggiunto una sua maturità, quand’anche fosse recente rispetto ad altre nazioni, offre spunti di riflessione che riguardano non solo la birra e i suoi stili, ma anche le categorie di bevitori. Gli anni passano, ed entra sempre più in gioco quella linea di demarcazione – pericolosamente vicina alle dimensioni di una faglia sismica – tra le generazioni di appassionati, un fenomeno che spesso denominiamo con la parola gap. La differenza, scopriremo, non sempre ha a che vedere con l’età anagrafica, è relativa invece più alle abitudini, i luoghi, le mode e i contesti, dove i social network svolgono ormai un ruolo fondamentale. 

Inutile dire che anche i geek hanno subito questo processo di cambiamento. Una prima suddivisione ha un carattere che ricorre di recente, incentrato sul fascino della birra ricercata: si parla di new money e di old money. Non si fa riferimento necessariamente alle white whales, ovvero quelle bottiglie costose e non più in produzione, dalla reperibilità più unica che rara, no: old money è anche, facciamo due esempi sia per l’Europa che per l’America, la Black Albert oppure la Westvleteren 12; la Heady Topper oppure la KBS. Birre che un tempo erano il sogno proibito di tanti, si sarebbe lottato all’arma bianca per entrare in possesso di una confezione da quattro, e invece oggi, complici una serie di motivi (diffusione, appeal sbiadito, calo della qualità, ecc.), smettono di essere oggetto di irrefrenabile desiderio. Oggi il geek moderno è mediamente identificato con appellativi come hazyboi, pastryboi, in nome delle derive rispettivamente NEIPA e adjunct stouts, tanto che un gruppo Facebook ha ben pensato di chiamarsi Old Money Tickers (spiegheremo dopo il significato della curiosa parola) – onorando i tempi che furono; lì, capita non di rado di trovarsi a discutere sulla bontà dell’invecchiamento di una Rochefort 10 targata 2008.

Con il termine new money si va invece ad identificare non solo l’insieme modaiolo di pastry stouts, milkshake IPA e i relativi fan, ma un intero mondo legato a certe dinamiche che, da diversi anni, hanno sempre più preso piede nel determinare la valutazione di una bottiglia – specie quando si tratta di imbastire un trade. Mentre una volta lo scambio di birre si reggeva sul semplice concetto io ti do una bottiglia che non puoi trovare facilmente e tu fai altrettanto con me, adesso i parametri di riferimento sono quasi sempre economici e si riferiscono ai valori che le bottiglie assumono sul secondary market, il non-luogo virtuale ramificato nella rete dove la birra viene rivenduta in forma privata. Non so se sia esistito davvero un episodio, nel tempo, a partire dal quale i geek abbiano cominciato a seguire questa nuova logica piuttosto che la vecchia scuola. È più ragionevole, la verità, che abbia preso piede sempre più il concetto non potendo ottenere la birra X, invece di scambiarla la compro direttamente da qualcuno. Un po’ come il lato oscuro, citando il maestro Yoda: non più forte! Più rapido, più facile… più seducente. Non ci dilungheremo oltre perché ne abbiamo ampiamente già parlato sulla nostra rubrica preferita, sta di fatto che è, senza ombra di dubbio, una caratteristica principe del geek moderno. 

Molte volte il confronto tra le due generazioni risulta estremizzato, assume caratteri da psicodramma e i media attuali diventano il teatro di scontri dove non mancano insulti, turpiloqui e bastonature virtuali tra geek di lungo corso e nuovi arrivati. In generale, la gente tende a prendersi troppo sul serio, quando in fondo si sta parlando di birra: bevanda sociale per antonomasia, fatta per aggregare e non certo per dividere. Ed è per questo motivo che Geekissimo cercherà, con ironia e sfumatura, di delineare i tratti delle principali personalità geek di vecchia e nuova generazione, insieme ad alcuni esempi di personaggi sempreverdi e sempre validi.

Il ticker. Dal verbo tick, ovvero l’atto di spuntare una voce in una lista. Nel caso nostro, lista di birre, ovvio. Definito anche più elegantemente collezionista di assaggi, è trasversale sull’asse del tempo: una volta inseguiva la Dark Lord, oggi altro, ma l’atteggiamento resta uguale. Ha un comportamento ossessivo-compulsivo che gli porta a voler provare tutto ciò che esiste. Senza esclusioni. Si va dalla Peroni all’OWK, passando per l’edizione speciale di quel birrificio sconosciuto del Mississippi. Particolare valore nella lista da spuntare è attribuito a white whale old money come la M di Midnight Sun, il Don Quijote e la Stille Nacht Reserva 2000. Per poter bere una quantità omeopatica delle suddette è disposto a sborsare anche cento euro/dollari. Dove trovarlo: poco presente sui social network, prima bazzicava Ratebeer e oggi lo troviamo pure su Untappd. Nel mondo reale infesta i beer-shop, ma solo nei giorni di consegna dei nuovi arrivi. Ai festival si mette buono buono al tavolo con i suoi simili e, insieme, danno vita al lunghissimo censimento di tutte le birre servite. Quando dà il peggio: i commenti, se non si limitano alla coppia foto/tappini, assumono il terribile aspetto di recensioni generate casualmente da un ristretto vocabolario di termini e descrittori invischiati in un agghiacciante minestrone sintattico: particolarmente gettonati sono legnoso, citrico, tostata, tropicale, fino all’improbabile torta Barozzi

L’accumulatore. Com’è facile intuire, il personaggio destina gran parte del suo stipendio mensile all’acquisto di birra, di cui un buon 80% è lambic, di cui a sua volta un 20% per i trade (il restante dimenticherà persino di possederlo). A consumare consuma, ma beve molto meno di quanto compra e menomale, altrimenti il suo fegato lo avrebbe già denunciato e citato per danni morali e materiali. Ogni tanto si propone di disciplinarsi e cerca di abbozzare una sorta di inventario, proposito che puntualmente fallisce dopo aver catalogato i primi trecento pezzi ed essere crollato in preda agli sbadigli. Intanto lo spazio necessario per stoccare le birre aumenta, cosa che lo costringe ad affittare un deposito aggiuntivo protetto da vigilanza privata e un fossato con coccodrilli. Dove trovarlo: attivissimo sui social network, si barcamena tra Facebook e Instagram dove può pubblicare senza sosta le foto di birre (chiuse) che compra o scambia. Nel mondo reale infesta la propria cantina, dedito alla compiaciuta contemplazione di quanto accumulato tra muffe, cartoni e scaffali. Quando dà il peggio: nelle conversazioni tra geek in cui un malcapitato vuole condividere l’essere riuscito a mettere le mani su una one-off di Cantillon dopo mesi e mesi di catene infinite di scambi, e lui, dopo una fase di silenzio,  gela gli astanti con – sì, di quelle ne ho ancora sei e non so che farci.

Il dinosauro. Eternamente vecchio dentro, comincia ad esserlo anche fuori, così almeno lo si riconosce a distanza e lo si può evitare. Questo personaggio è sempre stato contraddistinto dall’essere noioso sotto ogni punto di vista; anche all’epoca, bastava che parlasse di una normalissima tripel e ti suscitava quell’effetto soporifero a livello delle lezioni di economia che passavano alle quattro di notte sulla Rai. Avrebbe anche una discreta conoscenza dei fondamentali e delle dinamiche della birra, ma quando la esterna il risultato è drammatico, a uso professore di diritto che spiega avvalendosi di documenti scritti in corsivo e proiettati sul telo con una lavagna luminosa anni cinquanta. Dove trovarlo: suo malgrado si è dovuto arrendere a Facebook, considerato strumento del demonio, ma i suoi media preferiti restano forum, newsletter, mailing list, blog e tutto ciò che era all’apice quando non esistevano gli smartphone. Nel mondo reale infesta le conversazioni altrui, entrando in sordina con pareri apparentemente pacati ma che sottendono lo scopo e la pretesa di insegnare a bere e a stare al mondo ai giovani geek-padawan. Quando dà il peggio: non comprendendo le dinamiche del mondo moderno, specie quello virtuale, è spesso bersaglio di meme e troll, cosa che lo porta prima a sbroccare come un matto per poi soccombere tra le risate generali.

Il nostalgico. Una volta la birra la bevevano quattro gatti e si stava meglio, spesso si sente dire dal personaggio in questione, anche se dimentica di finire la frase con: quando si stava peggio, il nuoto è uno sport completo e Andreotti sì che era un vero politico. Appassionato dagli –anta a caso del secolo scorso, ha chiaramente una visione della realtà distorta e trasformata in una sorta di film senza ritorno dove si beve solo fuori casa altrimenti sei uno sfigato, e se il posto non è polveroso, sporco, a luci basse, frequentato da anziani che bevono al bancone puzzando come caciocavalli stagionati, e la birra non è servita a pompa o a caduta da una botticella o da una brocca di ceramica, allora è una merda a prescindere. La triste verità è che, per un motivo o per un altro, non va in giro più come prima e resta ancorato alla sua zona di comfort. Dove trovarlo: quando qualcuno commenta una NEIPA o pastry fatta male, o peggio ancora quando qualcuno ammette di aver bevuto male a qualche festival o locale di grido, il nostalgico esce allo scoperto e commenta compiaciuto con ahahahahaha visto, avevo ragione io. Nel mondo reale infesta quei due o tre pub in croce che gli ricordano il modello di cui sopra, per cui noi geek sappiamo dove NON andare a bere. Quando dà il peggio: all’apice dei suoi deliri, comincia a citare a cazzo stili poco apprezzati dai bevitori moderni (mild e bitter su tutti), rimproverandoli di non sapere cosa vuol dire girare su un carretto a cavallo per le Fiandre nel 1550 e bere lambic in qualche caffè assieme a Bruegel il Vecchio.

Il niubbo. Non è un cattivo soggetto, anzi, di fondo è una persona pure simpatica e di compagnia. Squisitamente genuino, attirato dalle stravaganze birrarie e super entusiasta della propria passione. Purtroppo è proprio quell’entusiasmo che gli blocca il cervello e che, a differenza di come consiglia Marsellus Wallace in Pulp Fiction (mettiglielo tu, nel culo!!!), finisce per fotterlo. Ad esempio, cerca di fare un trade sulla rete e il risultato sono scambi sproporzionati, mai a suo vantaggio, con qualche squalo statunitense che aveva subodorato il sangue giovane e gli rifila bottiglie che valgono cost, ovvero il prezzo di vendita al birrificio. Dove trovarlo: onnipresente sui social, maestro di discussioni infinite in cui non esce senza l’ultima parola e avendo la meglio sul nostalgico e sul dinosauro. Nel mondo reale, infesta tutti i posti dove hanno alla spina almeno una stout con almeno tre aggiunte o un frigorifero di lambic vecchi e ossidati. Quando dà il peggio: ai bottle share, al picco dell’entusiasmo e della resistenza alcolica, comincia ad aprire bottiglie senza il permesso degli altri presenti scatenando l’ira collettiva, finché non si affloscia su una poltrona perché ha bevuto troppo.

Il leccaculo. È il più pericoloso di tutti, ma per questo anche il più facile da riconoscere: emulatore di professione, subisce le personalità più autorevoli della birra ricalcandone atteggiamenti o addirittura ricopiando di sana pianta le loro frasi e facendole sue. Farebbe carte false per apparire come il nostalgico, ma poi si scopre che è andato in Belgio la prima volta nel 2019. Un po’ il contrario di Pirandello, che spiegava l’umorismo con l’esempio della vecchia che si veste giovane per sentirsi guardata. Nel caso del leccaculo non c’è seria riflessione dopo l’ironia, ma si ride dall’inizio alla fine. Molto attento a non inimicarsi mai il dinosauro, specie se questo viene considerato un’eminenza nella scena brassicola. Farebbe carte false pur di trovare accolta la sua disperata richiesta di considerazione: se da un giorno all’altro le pastry stout fossero ben viste dai vecchi geek, comincerebbe col farsi notare con che palle queste lager/saison, sono birrette qualsiasi. Dove trovarlo: in tutti i post o commenti che fanno clamore, e quindi hanno il plauso delle masse, c’è il suo like o cuoricino. Nel mondo reale, infesta tutti i corsi possibili e immaginabili sulla birra accumulando attestati che gli permetteranno finalmente di andare fiero di quel famoso pezzo di carta che non si nega a nessuno. Quando dà il peggio: se la discussione diventa troppo difficile per lui, o non può documentarsi su Google per commentare con precisazioni al limite del capzioso, la butta in caciara sperando di essere simpatico; peccato che non gli riesca mai.

 

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