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Eresia o innovazione? Il cocktail con la birra!

Un alleluja s’innalza dalla curva dei favorevoli; resistere, resistere, resistere replica quella dei contrari. Quale che sia la sponda sulla quale vi schierate, non potete non essere coinvolti nel confronto: il tema è dirimente, o si accetta o si rifiuta. Parliamo dei blend brassicoli e dei cocktail birrari. Una pratica di cui noi stessi abbiamo parlato su queste colonne, assai diffusa nel passato della pinta, relegata in un ambito decisamente marginale (e alquanto naif) nel presente, salvo – in tempi recenti – vedersi non solo recuperata a un livello di assoluta dignità, ma essere, come si dice, pienamente sdoganata.

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Il punto chiave è che i propugnatori di questa passione fanno riferimento non a interpretazioni puramente goliardiche del mischiare, ma ad espressioni di un’effettiva arte della combinazione: per farla breve, rivendicano l’esistenza di una beer-mixology professionale. Tra gli esponenti di questa corrente, Ryan Conklin, barman alla  Euclid Hall Bar & Kitchen; il quale, con estrema cognizione di causa (e competenza, in fatto di tipologie), è salito in sella all’onda, sperimentando con lena indefessa e facendo di questa moda rinascente un suo cavallo di battaglia. Quanto al perché la cosa abbia tanto appeal, gli osservatori americani – avrete capito che la schiera dei sostenitori è forte soprattutto negli States – individuano almeno tre buone ragioni, tutte riconducibili al boom dell’artigianale. Punto primo: il movimento delle microbreweries ha moltiplicato esponenzialmente i profili organolettici delle birre e dunque la possibilità di fare di esse partner interessanti per il connubio con altri ingredienti, alcolici e non. Secondo: l’ascesa dei craft brands ha significato anche la diffusione della mescita alla spina, condizione che consente di (appunto) fare sperimentazione a prezzi ben più ragionevoli di quelli da sostenere essendo invece costretti ad aprire costose bottiglie. Terza questione, il tramonto del dominio assoluto dei prodotti massificati e scaratterizzati si è accompagnato con l’aumento, enorme, della massa di consumatori provvisti di un palato più maturo e più curioso, in altre parole, più incline a tastare territori sensoriali inediti.

Ciò detto, ogni arte ha le sue regole. E dunque non tutto si può mixare, e non tutto a piacimento. È evidente che alcune tipologie (ad esempio quelle legate a un marcato amaro da luppolo) avranno un’applicazione più problematica, rispetto ad altre. E dunque, la letteratura corrente dei nuovi mix birrari, propone con decisa frequenza l’impiego di alcuni generi, tra i quali gli stili contrassegnati dalla presenza di frumento (con la sua acidulità rinfrescante); e quelli a tinte dark, con il loro apporto di toni torrefatti e, talvolta, liquoroso-caramellati.

Chiudiamo dunque scegliendo alcuni esempi dalla manualistica in vigore sui beer-cocktail per chi fosse interessato a sperimentare. Il primo, a firma dello stesso Conklin, si chiama Cherry Bourbon Milk Stout e si prepara (tenete conto che un’oncia è circa 2,96 centilitri) con 6 once di Left Hand Milk Stout, una di Corner Creek Kentucky Bourbon, mezza Leopold Brothers Tart Michigan Cherry Liqueur (liquore alle ciliegie deliziosamente dolceacido). Sempre attingendo dal catalogo delle birre scure, un classico – i suoi natali sarebbero da collocare nel 1861, al London’s Brook’s Club – è invece il Black Velvet, da comporre con mezzo bicchiere di Champagne più un’identica quantità di Stout. E altra ricetta accreditata di tradizioni documentate è quella dello Hangman’s Blood: 2 dita di Gin, 2 di Whisky, 2 di Rum, 2 di Porto, 2 di Brandy, una bottiglia (33 cl) di Imperial Stout e una goccia di Champagne. Cambiamo capitolo: Weizen, Wit e Wheat Ales. Il Summer Hoedown chiama in causa un’anguria da una libbra (cioè 453,6 grammi) senza semi; due cucchiai di zucchero, liquore al maraschino per un quarto di bicchiere, 4 bottiglie (da 33 cl) di Bière Blanche. Infine lo Honeydew Hefeweizen Smoothie: mezzo melone verde (Honeydew melon); tre coppe e un terzo di gelato alla vaniglia; estratto, ancora, di vaniglia per mezzo cucchiaio da tè; sottili fettine dello stesso melone per guarnire.

Cosa ne pensate? Siete tra quelli che esclamano un deciso vade retro! o un possibilista perché no?