Due chiacchiere con Steve Grossman di Sierra Nevada
Riproponiamo l’intervista pubblicata su Fermento Birra Magazine a Steve Grossman, fratello di Ken, che con la Sierra Nevada Brewery hanno contribuito a scrivere la storia del movimento artigianale americano.
Steve, cominciamo dalla vostra birra simbolo, la Pale Ale. È cambiata in questi decenni e, se sì, in che maniera?
A dire il vero rispetto agli inizi la ricetta è rimasta tale e quale. Abbiamo cominciato a produrla come homebrewers e, anche dopo l’apertura di Sierra Nevada, la ricetta non è stata toccata. Abbiamo semplicemente adattato i metodi di produzione alla maggiore dimensione del birrificio. Usiamo luppolo Cascade, la birra viene rifermentata in bottiglia ora come prima, anche gli IBU sono gli stessi. È sempre lei insomma!
Quali sono le difficoltà nel produrre una grandissima quantità di birra? Sierra Nevada, con oltre 800.000 barili l’anno (950.000 ettolitri circa), brassa da sola più dell’intero movimento artigianale italiano!!
L’economia di scala ha influito molto sulla nostra produzione. Ovviamente abbiamo fermentatori molto più grandi, da 800 barili (circa 1000 ettolitri), in cui finiscono quattro nostre cotte. Quando abbiamo iniziato avevamo una sala cottura da 10 barili (1200 litri), poi siamo passati a 100 e, adesso, siamo a 200. Il processo fondamentalmente rimane lo stesso. Oggi abbiamo la possibilità di comprare le attrezzature migliori, che magari prima non potevamo permetterci, come tutti quegli strumenti di laboratorio che ci consentono di analizzare correttamente la birra ed essere sicuri che non ci siano problemi, che tutto sia come lo vogliamo. Questo ci aiuta nella produzione e nel mantenere alti i nostri standard, anzi, a mantenerli ancora più alti di quando siamo partiti, proprio grazie al maggiore e migliore equipaggiamento tecnico.
Parliamo di luppoli…
Ne usiamo di molti tipi, ma solo in coni, mai pellet, perchè reputiamo questo il modo migliore per trasmettere gli aromi alla birra. In prodotti come la Pale Ale continuiamo a usare precise varietà, il Cascade ad esempio, per via delle sue note aromatiche. Questo però non vuol dire che siamo chiusi alle novità, anzi. In alcune nuove birre utilizzeremo anche luppoli sperimentali, di quelli che ancora non hanno un nome ma solo un numero. I luppoli sono una parte molto importante del nostro lavoro, e sono molto contento del fatto che anche i mastri birrai italiani stiano abbracciando questa filosofia. Vedo che si usano diverse varietà e ho assaggiato birre anche ben luppolate, veramente buone. Il movimento americano ricerca da sempre lo sviluppo dei profili aromatici dei luppoli, approccio che ha dato vita a tantissime varietà diverse di questa pianta.
Si può dire che alcuni luppoli, come il Cascade, siano già passati da “nuovi” a “tradizionali”?
In effetti il Cascade negli USA è ormai considerato un luppolo della tradizione. C’è molta curiosità, sia i produttori che i coltivatori sono alla costante ricerca di aromi e sensazioni nuove. Noi stessi facciamo cotte sperimentali, che vendiamo direttamente al birrificio per testarle. Credo che oggi sia in atto un’evoluzione nell’utilizzo dei luppoli, anzi una vera e propria rivoluzione. Se consideriamo il citrico del Cascade comeclassico, adesso si stanno sviluppando nuovi varietali con aromi più rivolti ad esempio al fruttato, con sensazioni decisamente interessanti.
Qualcosa del genere sta succedendo anche in Europa. Ad esempio in Germania, nella zona di Hull, si stanno sviluppando nuove varietà basate su luppoli europei con innesti di altre varietà, che danno aromi diversi o maggiori percentuali di alpha-acidi. Ne ha sentito parlare?
Ovviamente conosco le varietà classiche europee, non quelle nuove però. In questi pochi giorni passati in Italia ho avuto modo di assaggiare una pils con uno di questi luppoli ancora senza nome (la Delia del Birrificio Italiano, ndr), e devo dire che mi ha davvero impressionato.
Come vi trovate con le la canning-line?
Dopo varie cotte di prova e tanti test vendiamo le nostre Torpedo e Pale Ale anche in lattina. Per ora va tutto alla grande e questo esperimento ci interessa sotto molti aspetti: la birra in lattina potrebbe infatti invecchiare addirittura meglio che in bottiglia, dato che l’alluminio è totalmente impermeabile alla luce, e nullo è anche l’ingresso di ossigeno. Le lattine presentano inoltre grandi vantaggi per le spedizioni, che si traducono anche in un minore impatto ambientale, ulteriormente valorizzato da un ciclo di riciclaggio dell’alluminio che negli USA è quasi doppio rispetto a quello del vetro. Un altro aspetto che ci interessa molto e sul quale stiamo lavorando è la rifermentazione in lattina, che già facciamo per la Pale Ale.
Ha visitato l’Italia e conosce alcune delle creazioni dei nostri piccoli birrifici. Quali sono le sue impressioni?
Posso dirvi che, nonostante sia stato in Italia per poco, ho avuto modo di assaggiarmi diverse birre e farmi effettivamente un’idea sulla vostra realtà. Tutte le persone con cui ho parlato sono estremamente appassionate e motivate, sono rimasto molto impressionato da quello che sta succedendo qui. Sono stato alla Fiera di Rimini nel 2009 e nel 2013 e in tre anni ho avvertito un cambiamento importante, ho l’impressione che sia in atto una grande rivoluzione in questo Paese.
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Degustazione della Pale Ale di Sierra Nevada