I profumi della birra: l’affumicato
Ultima tappa lungo i percorsi scanditi dalle connotazioni olfattive determinate da malti e cereali crudi, quella dell’affumicato rappresenta davvero una sensazione incisiva che determina l’identità di una birra. Una peculiarità che è figlia di specifici trattamenti operati in maltazione: la fase conclusiva della quale, ovvero quella dell’essiccazione dei semi, avviene in forni nel quali, oltre ai normali getti d’aria, circolano i vapori generati da processi di combustione, alimentati da materiali di vario genere (processi tali da mettere in circolo composti quali guaiacolo, fenolo, 4-etil-guaiacolo e 4-etil-fenolo). Così, quando queste tecniche facciano leva su fuoco di legna (faggio, quercia, rovere, ontano) i malti – cotti che siano a bassa, media o alta temperatura – sviluppano temperamenti odorosi di timbro smoked, con risonanze resinoso-balsamiche, che ricordano la scamorza o il prosciutto affumicati, se non lo speck stesso. Tratti tipici, ad esempio, delle Rauchbier frànconi.
Invece, se il procedimento di essiccazione sommariamente descritto implica la movimentazione, nei forni di maltaggio, di correnti derivate da fuoco di torba (“peat” in inglese), il risultato sarà la produzione del cosi didascalicamente detto malto “peated”, il cui utilizzo conferisce alla birra note decisamente più fenoliche (con venature di salmastro, iodato, medicinale) simili a quelle non a caso distintive degli whisky appunto torbati. Note rintracciabili in alcune referenze di ascendenza britannica (Old Ales e Barleywine, ad esempio) e scozzese in particolare (Wee Heavy), sebbene l’ortodossia disciplinare di nessuna di queste tipologie ammetterebbe intonazioni fumée.
Affumicato da legno
Accurate indagini documentano come a definire questo peculiare tema olfattivo concorrano una settantina di molecole, tra le quali i fenoli rivestono sì un ruolo significativo, ma tanto quanto quello esercitato da sostanze appartenenti ad altre classi chimiche. Partendo dai primi, i composti che fanno registrare le maggiori concentrazioni sembrano, in ordine di valori decrescente, siringolo (percepito come cenere di camino bagnata è dotato anche in certa misura di inclinazioni amare e astringenti), guaiacolo (etere fenolico associato a tostature, fumo di paglia e provola affumicata), pirocatecolo (più speziato, tonalità che, vale la pena sottolinearlo, è meno rappresentata in questo “perimetro” rispetto a quanto lo è invece nelle “torbature”). Tra le altre voci, che, complessivamente, nell’economia di questa “architettura olfattiva” presentano un peso specifico superiore a quello degli appena citati fenoli, abbiamo: aldeidi (come il propanale); chetoni, come lo 1-idrossi-butanone (che comunica impression di terriccio, granaglie, caffè) e il suo isomero 3-idrossi-2-butanone (detto anche acetoino o acetoina, che contribuisce al profumo burroso del salmone); acidi organici come il propanoico (pungente); derivati di due composti eterociclici, furano (altresì conosciuto come furfurano o ossido di divinilene) e pirano (questi ultimi essi stessi coinvolti nella meccanica di percezione dell’aroma di salmone affumicato).
Affumicato da torba
La combustione della torba determina la formazione di un ampio ventaglio di sostanze chimiche, tra i quali idrocarburi, composti azotati e fenoli. In tale “catalogo”, a rivestire la maggior importanza ai fini della percezione delle note olfattive tipiche di questo genere di affumicatura, sono proprio i fenoli (compreso il fenolo stesso, che dà il nome alla propria classe d’appartenenza), insieme a diversi loro derivati: cresoli (metilfenoli), xilenoli, etilfenoli (come il 4-etilfenolo), il guaiacolo (un etere fenolico) e 4-etilguaiacolo. Ognuno di essi contribuisce con un apporto specifico: il fenolo, i cresoli e il 4-etilfenolo (associato a sensazioni anche di cerotto e di animale da cortile) vengono percepiti come portatori di note medicinali; il guaiacolo di timbriche affumicate e catramate; il 4-etilguaiacolo di venature “dolci” e speziate (chiodo di garofano). In particolare, fenolo e cresoli vedono crescere la propria concentrazione, a scapito di quella del guaiacolo (che al contrario diminuisce) proporzionalmente all’aumento della temperatura di cottura del malto destinato a diventare “peated”.