Le birre della memoria: Liefmans Odnar
A parte la devozione mistica per il lambic e i suoi derivati, già dai primi viaggi in Belgio, Inghilterra, Scozia, Irlanda, Cecoslovacchia e Germania, mi accorsi di come le birre scure, aggiungerei di bassa gradazione, fossero strettamente legate al popolo, al proletariato, cioè alla cosiddetta working class che racchiude tutti i lavoratori che, dai campi o dalle officine, si ristoravano nei caffè, nei pubs, nelle stube o nelle pivnice.
Superfluo rimarcare come anch’io mi fossi inevitabilmente innamorato di queste birre, proprio di tutte: dalle porter alle svariate stout, dalle dunkel alle schwarz fino alle tmavé. Ma quelle che mi avevano stregato maggiormente erano state le mild, in particolare le dark mild e, ovviamente, ancor di più, le brune del mio adorato Belgio.
Avevo sviluppato un intuito, per puro divertimento, nel prevedere quali clienti dei caffè delle Fiandre Occidentali avessero ordinato una stout, spesso dolciastra e vicina a una tafelbier o un’immancabile bruna locale e quali clienti dei caffè delle Fiandre Orientali, avessero ordinato le altrettanto immancabili brune locali e, per essere più precisi, nell’area di Oudenaarde, le oud bruin oggi quasi scomparse, se non nel nome sicuramente nell’aroma e gusto, per il progressivo allontanamento dal processo produttivo tradizionale. Mi ero infatti accorto come i lavoratori in attività e i pensionati meno vecchi bevessero quasi esclusivamente e copiosamente le pils locali mentre fossero solo i “vecchissimi” a inanellare una bruna dopo l’altra. Dato che, come tutti sanno, io sto dalla parte dei vecchi sdentati, “meno denti hanno e più sono la mia fonte preferita di trasmissione orale”, offrire un giro di brune e conversare con loro valeva molto di più di trasformarsi in un Martyn Cornell o, ancor peggio, in un Roed Mulder per ricercare documenti e prove per confutare quelle credenze che, anche se infiorettate e magari poco plausibili, sono sempre suggestive, emozionanti e belle da tramandare. Io diventavo e sono diventato “uno di loro”, mentre i due citati archivisti non lo diventeranno mai. Ma poi, detto tra noi, anche se quelle fossero leggende in parte o del tutto infondate, chi se ne frega! Lasciatecele credere, d’altronde anche la vita non ha un logico senso ma in qualcosa vogliamo pur far finta di credere!
Dopo questo comizio passo al tema dell’articolo, la Odnar: una delle mie birre del cuore e della memoria. Partiamo dal solito libro-vangelo di Michael Jackson, World Guide to Beer edito da Mitchell Beazley nel 1977. A pagina 122 la mitica iconica Madame Rose Blanquaert-Merckx mi sorrise con in mano un Jeroboam della sua Kriek Liefmans su base oud bruin. Fu amore a prima vista. Cominciai a bere le sue birre, dalla Kriek alla Frambozen fino alla forte Goudenband, eleganti vestite e nobili, avvolte a mano nella caratteristica carta. Ma quella che mi ammaliò, fin dal primo assaggio, fu la nuda e plebea Odnar nella sua basica, serigrafata bottiglia. Quando incontrai Madame Rose in una visita con colleghi del CAMRA, il carisma del personaggio era talmente forte che provai soggezione e una timidezza che non erano certo parte della mia persona. Riuscii solo a scambiare due parole al momento dell’assaggio dove però la sorpresi per aver espressamente chiesto, unico del gruppo, la Odnar mentre tutti si era portati sulla famosa Goudenband. Non persi certo l’occasione, la timidezza nel frattempo era svanita, di spiegarle il perché, citando i miei vecchietti del Beer Temple di Ronse.
Ah la Odnar! Da allora non me ne staccai più sino alla sua bieca soppressione avvenuta nel 2007, se ricordo bene. Che goduria vedere a fine pomeriggio un gran numero di bottiglie vuote sul tavolo che dividevo con i vecchietti nei caffè della zona, oggi ormai dismessi ma che ancora riconosco con nostalgia durante la diretta televisiva del Giro delle Fiandre, patrimonio culturale del popolo fiammingo, che termina proprio a Oudenaarde.
La Odnar con i suoi poco più di 4 gradi alcolici, oggi sarebbe chiamata “session” ma provavate a dirlo ai miei vecchietti! Per loro era la “bruin” dei loro nonni, la bruin di casa e non la Speciaal Provisiebier Goudenband, fiore all’occhiello di Madame Rose, troppo forte e costosa per chi era abituato a prezzi considerati normali, ma che noi definiremmo stracciati. Se ricordo bene non la pagavo più di 30-35 franchi belgi, grosso modo 60-70 centesimi di euro anche se il calcolo non può essere preciso senza rapportarlo al costo della vita attuale.
Penso sia interessante sottolineare come nessuno di noi, vecchietti e invasore, odorasse la birra prima di portarla alla bocca e nessuno di noi si sognasse di fare una foto. No, noi volevamo solo goderci il momento di socializzazione, sorseggiando la birra del posto, la più frugale e locale possibile e tutto ciò in modo naturale.
Io non prendevo appunti scritti, le dritte entravano nelle caselline della mia avida memoria e da lì non sono mai uscite. I vecchietti, da parte loro, erano incuriositi di incontrare un pazzo italiano che gesticolava e cercava di capire la loro lingua, o per meglio dire, il loro dialetto portandoli incoscientemente a gesticolare pure loro per farsi capire a sua volta.
Dopo l’immancabile prima fase di penetrazione nella corazza fiamminga, giocavo la mia carta segreta, cioè spingendoli, gradatamente e con tatto, a parlare francese perché anche se sempre lo negavano, invece lo parlavano, magari non con fluidità e con qualche errore e difficoltà, malvolentieri, ma lo parlavano!
Di Odnar ne ho bevute così tante che posso addirittura farne due descrizioni con sensazioni diverse per due approcci diversi. Cerco di spiegarmi meglio. La prima si riferisce a quello che provavo nel berla tranquillamente nel caffè o a casa mia senza la famigerata annusata del degustatore. Tre parole si materializzavano subito nella mia mente: freschezza, bevibilità e godimento. Freschezza per le note lattiche e acidule, bevibilità perché andava giù scorrendo velocemente, la stessa cosa che provavo con una mild o una Guinness, e godimento per quella nota dolce di caramello che, in epoca pre-IPA, piaceva tanto a noi lavoratori belgi. Per la seconda, invece vesto i panni del degustatore: olfatto caratterizzato da note dolci di caramello e carruba che convivono, più che contrastare, le note lattiche. Nel palato il dolce iniziale, toffee e tamarindo, si trasforma in agro-dolce con lievi note rustiche date dai batteri lattici. Corpo esile, watery e retrogusto lievemente più amarognolo, ma non per via del luppolo, ma per la sinergia tra tostature con punte di liquirizia e un quasi impercettibile bruciaticcio, conferito dai malti. Molto meglio affrontare la Odnar col primo approccio, vero?
Ma che differenza c’è tra l’estinta Liefmans Odnar e l’attuale Liefmans Oud Bruin?Mai raffronto fu più semplice. La Odnar, ritenuta da alcuni soloni una birretta “di facili costumi” e quindi votata alla semplice beva e non certo ad una complessa analisi sensoriale, aveva indubbiamente una sua spiccata personalità grazie a quella rusticità che la contaminazione batterica sapeva regalarle e che portava il bevitore al piacere, senza sconfinare nella stucchevolezza che l’odierna Oud Bruin invece spande a piene mani. Sensazione che a noi non piace ma che gli esperti di marketing della Duvel, che ha acquisito Liefmans nel 2008 salvandola, lo ammetto, dalla bancarotta, ben sanno essere adorata e richiesta da una larga fetta di consumatori inconsapevoli.