Matrimoni birrari: mediterranean cheeseburger e Jackie Brown di Mikkeller
“Dietro un grande uomo, c’è sempre una grande donna”, recita un noto adagio. E al di là del (neanche tanto) sottile maschilismo che attraversa l’enunciazione (per obbligo di political correctness, ne proponiamo una versione paritetica: “Dietro un grande personaggio, c’è sempre un grande partner), il contenuto espresso da queste parole è di quelli incontrovertibili: verità vera, punto. Anche a tavola: anche per un pasto veloce. E dunque, nell’afferrare dalle proprie riserve la bottiglia di una birra come la Jackie Brown di Mikkeller, s’impone l’obbligo di non banalizzarne la bevuta con un abbinamento qualunque. E d’altra parte, magari, il tempo per prepararsi un piatto troppo complicato non lo si ha. A quel punto – complice, certo, la provocatorietà contagiosa della stessa griffe produttrice, visto che il marchio danese non ha bisogno di presentazioni in merito alla vorticosità del proprio estro e della propria “voglia di stupire” – ecco che si accende la lampadina che non ti aspetti. Accompagneremo la nostra American Brown Ale con un ricco cheeseburger.
Al che, inevitabilmente, s’inalbera la voce della tua coscienza culinaria, che strepita, indignata: come il cheeseburger? Intendendo con ciò che il connubio solo immaginato con quel piatto sia pressoché mortificante, nei riguardi della pinta che gli si vuol affiancare. E lì, col piacere che solo i “colpi a sorpresa” san dare, estrai l’asso (che sapevi avere) nella manica. “Eh, si fa presto a dire cheeseburger. Aspetta di assaggiarne la versione che prepara la gastronomia di quell’amico mio”. Ebbene, la versione suddetta è così progettata. Pane al latte, carne di manzo selezionata, salsa barbecue homemade, Fontina valdostana Dop, cipolla di Tropea caramellata, pomodoro Canestrino grigliato. Insomma, una declinazione mediterranea di quel “panino da fast food”: e soprattutto una leccornia. Identikit sensoriale: costituzione robusta (per consistenza generale, fibra proteica e quantità di grassi), intensità sensoriale elevata, orientamento gustativo prevalente… difficile individuarlo, perché è una cooperazione tra sapidità, dolcezza lipidica (l’architrave equilibrante) e acidità; in più, un discreto respiro aromatico, grazie a formaggio e ortaggi protagonisti. Sì, un gioiellino. Con tante sfaccettature adatte a collimare con i connotati organolettici della birra in predicato di essere stappata.
La Jackie, infatti, esprime agrumature olfattive (da luppoli Nugget, Simcoe e Centennial) decisamente morbide, in quanto influenzate dalla rotondità dei cereali di base (Pale, Munich, Cara-Pils, Cara-Crystal, Brown, Chocolate; avena in fiocchi): e dunque questi suoi tratti odorosi “so american” non vanno a configgere con l’architettura del burger, ma semmai ad aggiungervi ulteriori “colori”. L’arma vincente, in questo abbinamento, è l’equipaggiamento tattile e gustativo della birra: un mix (vi si sentono biscotto, cola e un tocco liquirizia) di felpature, abboccature e lievissime affilatezze da malti scuri, che vanno a incontrare armonicamente le caratteristiche del nostro “spuntino d’autore”. Come? Smorzandone la concentrazione sapida con la vellutatezza pseudo-zuccherina del sorso; elidendo l’acidulità di pomodoro, cipolla e salsa barbecue con la speculare nota (appena menzionata) dovuta alla tostatura del mash; rimuovendo, con la propria effervescenza, la tenace pinguedine della carne e della Fontina; andando perfino a richiamare, con qualche ideuzza d’affumicato, la croccantezza “bruciata” del Canestrino grigliato. Il finale? Un inno di ringraziamento: a Mikkeller e al tuo amico, quello della gastronomia lì sotto.
PS: In questo abbinamento “narrato”, i personaggi sono di pura invenzione, i fatti no.