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Umbria, la cantina Arnaldo Caprai sbarca nel mondo craft con Merabirra

merabirraParenti non (o molto poco) comunicanti, per tanto tempo; adesso riuniti, nel nome del comune obiettivo di promuovere se stessi e il territorio. Parliamo di birra e vino: ovvero, in Italia, storicamente, la figlia di secondo letto, alquanto snobbata; e il primogenito prediletto di mamma fermentazione. Poi il cambio di vento: rossi e bianchi frenano (nei favori e nei consumi), mentre le schiume artigianali scalano le classifiche di gradimento. Ed e così che la sorellastra viene riabilitata, e ammessa a corte. Ripensamento interessato? Giudicate voi. Fatto sta che sempre più enologia strizza l’occhio alle pinte.

A Montefalco, ad esempio, cuore pulsante di quel (meraviglioso) distretto viticolo che è il vigneto del Sagrantino, un nome mitico come Caprai (il marchio di riferimento, in questo ambito tipologico), esce con una India Pale Ale a firma propria. Si chiama Merabirra e nasce dall’orzo coltivato in una parcella di cinque ettari o giù di lì, proprio a Montefalco, giusto accanto ai filari del vitigno principe.

merabirra2Ambrata, di 6.3 gradi alcolici, viene sfornata per adesso in 5 mila bottiglie; e seppure commercializzata come etichetta inclusa nel catalogo della nota maison vinicola, viene brassata negli impianti di Birra Flea, a Gualdo Tadino. Insomma, come detto, un prodotto che è specchio e “vetrina” della propria terra. “Mettere insieme le imprese, fare rete”, sottolinea Caprai, “è un fattore decisivo per lo sviluppo del mondo agricolo”. Giusto. E sacrosanta, aggiungiamo, è la riabilitazione a corte della birra: un miracolo che, forse, poteva riuscire solo alla crisi.

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